Mancare

“Ecco, nonna, è successo di nuovo! Basta, non voglio più giocarci a freccette.”
Così esordì tra le lacrime, un giorno, la piccola Clara, quando la nonna le propose di giocare a freccette. Stravagante, vero? Una nonna che propone di giocare a freccette alla nipotina, e non il contrario. Eppure, anche le cose più assurde che possono sembrare credibili solo tra le righe di un libro accadono nella vita reale.
“Dai, tesoro, non scoraggiarti subito, è solo una questione di strategia.” le disse la nonna. Lei sapeva bene quale sensazione provasse la piccola, l’aveva provata anche lei quando aveva, però, molto più di 10 anni. Eppure si era sentita piccola piccola come un bambina davanti a quel bersaglio mancato. 
È sempre così quando qualcosa va storto, quando si frappone un ostacolo tra le sicurezze che si sono costruite a fatica, giorno dopo giorno, sicurezze affilate e ben levigate, veloci come freccette, sicure di centrare ogni bersaglio ancora prima d’essere lanciate. E le mani diventano archi stregati dalla superbia e tracotanza umana. Eppure, nella disarmante sicurezza di quel lancio, nella strategia è stata omessa ciò che, con aria regale, primeggia, seppur invisibile agli occhi: l’aria.
L’aria che genera attrito e ostacoli che noi non vediamo e che pur continuano a esistere e a persistere ogni attimo. L’aria stratega che beffeggia ogni arciere, l’unica ad aver la certezza della sua imminente vittoria nello scontro con ogni forma di freccia. L’aria. L’aria che, se un’ape distratta non compie il suo dovere , raccoglie granelli di polline per far nascere un fiore. L’aria, duce dei venti, che tesse le sorti dei raccolti, delle genti, degli animali. L’aria, che sceglie se incupirsi in nuvole e scagliare tempeste laddove l’acqua non è che tra le lacrime di un uomo che muore di sete. L’aria, che sceglie se accarezzare le distese marine o insinuarsi tra le vele di navi che diventano braccia materne. L’aria, che si fa viva attraverso quel tagliente rumore quando una freccia viene scagliata. La stessa aria, soffiò via ogni certezza della nonna e della bambina, unendo col suo agire due mondi, due attimi, attraverso una sola emozione: l’impotenza.
Quel nesso invisibile eliminava ogni altra distinzione esistente in quell’istante, lo stesso istante in cui crebbe, per entrambe, la consapevolezza di aver mancato il bersaglio.
“Mancare” divenne il Verbo divino che pervase ogni angolo della mente e del corpo, che innervò entrambe. E quel verbo, dove riempiva, svuotava al tempo stesso.
“Mancare.”
“Piccola mia, hai solo mancato un bersaglio”.
“Sì, mancato! Mancato! Non faccio altro che questo! Mancare tutto, tutto! Non riesco mai ad arrivare dove vorrei “
Corse verso la freccetta, la prese e la spezzo con le mani di un omicida che disprezza la vittima ancor prima che lo diventi, e la gettò per terra, urlando.
“Tesoro, è solo un gioco. Calmati, vieni qui, su.”
È solo un gioco, certo. Facile a dirsi per un adulto ma non a farsi per un bambino che costruisce il suo mondo col gioco stesso, giorno dopo giorno, non conoscendo ancora quali saranno i veri avversari lì fuori, nella vita vera. E se lo chiede, vedendola come una cosa troppo lontana da lui per essere preoccupante “ma che sarà mai questa vita vera? Che sarà mai? Potrà mai esserci qualcosa di più grave di questo mio fallimento? “
Ma, si sa, gli adulti mentono. Infatti la vita vera non ha chissà quanto di diverso da quel futile gioco infantile. E non perdono occasioni, loro, i” grandi”, per piangersi addosso per cose ben più futili, vergognandosene subito dopo. Ecco qual è il discriminante tra adulti e bambini: la vergogna. Tutto il resto è intercambiabile. Il bambino non teme di disperarsi, ma teme di fallire. L’adulto teme di fallire e si vergogna della sua naturale disperazione che segue un fallimento. Vita vera? Gioco? Serietà? Scherzo? Varianti ininfluenti sono.
“Mancare.”
Quel bersaglio mancato da la stessa sensazione di ciò che si aveva e che si è perso, anche se in questo caos nulla è mai stato posseduto. Eppure l’illusione di essere già vincitori, l’illusione di aver già tutto per sé, da un senso di pienezza che si perde con la sconfitta e il fallimento, il senso di mancanza.
“Mancare”.
Quel bersaglio mancato adesso è come l’aria, e si fa beffe di chi non lo ha colpito, risparmiando la sua vita. Sembra quasi ridere sotto un malefico ghigno.
Mancare qualcosa dunque non è soltanto l’atto di non raggiungere qualcosa, di sfiorarla senza ottenerla, ma è anche ciò si prova quando si perde qualcosa che si credeva di possedere, di avere per sé. Stesso esito di due diversi processi essenzialmente illusori: l’illusione del possesso e della vittoria, seguiti dal fallimento e dalla disillusione, dal vuoto, dalla solitudine.
Sentire la mancanza di qualcosa che si aveva è esattamente come sentire la mancanza di ciò che si è sentito proprio ancor prima di ottenerlo. In entrambi i casi mai nulla si ha avuto. Mai nulla ci è appartenuto veramente.
E mentre adulti e bambini stanno lì, davanti allo stesso muro, ma in parti opposte, ed affermano con sicurezza la loro realtà, la nonna e la bambina si incamminano verso il fiume vicino la casa della nonna, con un buon libro che farà distrarre la povera Clara che si sente ormai sconfitta. Il libro è in realtà un diario scritto dalla nonna, lo stesso in cui scrisse la poesia sulla natura, da giovane, la stessa poesia che rincuora Clara dopo ogni piccola, grande sconfitta.

@lauretana-capri

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Lauretana Capri