Storie di Strada

La guardavo da lontano, lasciandomi indifferente tra i pochi alberi presenti in quel molo.
Lei era qualche metro più avanti, adagiata di fianco su una piattaforma di cemento che contrastava il blu del mare. Il suo corpo era compatto, ma portava con sé un senso di tenerezza: si sarebbe potuto sciogliere e diventar morbido, se accarezzato con cura.
Portava una felpa nera e dei pantaloncini bianchi aderenti, i capelli erano bagnati e lasciati indietro disordinatamente; teneva tra le dita una sigaretta che nemmeno una volta aveva assaporato.
Il suo sguardo mirava ad una barca a vela che, nel frattempo, lenta come il decomporsi della sua sigaretta, tracciava una linea sottile sul telo del mare. Le sue vele bianche inspiravano ed espiravano seguendo il ritmo del vento.
Lei sentì la necessità di fare lo stesso. Lo percepii guardando il sussulto che fecero le sue spalle accorgendosi di quei sospiri di vento che le vele lasciavano evadere.
Era incantata da quella danza inconsapevole che le due materie differenti stavano compiendo tra loro. Si scostava delicatamente i capelli che il vento le portava sul viso, lo stesso vento che qualche istante prima aveva fatto volar via quella sigaretta mai fumata.
D’un tratto il suo corpo si erette in una verticale, mi stupì la velocità dell’azione e il non accorgermi dei preparativi corporei; poi tornò giù, si alzò e cominciò a passeggiare avanti e indietro come se volesse trovare anche lei una direzione precisa. Andò così per qualche minuto, ma non smetteva mai di guardare muoversi quella barca dalle vele persuase dal vento, finché non la vide più. Finì inghiottita dal cielo e i suoi occhi non erano così potenti da scavarci dentro.
Così smise di camminare, dritta ed eretta su quel rettangolo di cemento, fissava il mare, cercando di ricordarsi che basta respirare il vento, per lasciarsi indicare sé stessi.

@giusipuglia

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Giusi Puglia