Culturando – I lavatoi, gli antichi tribunali delle donne

Nel 2021 siamo tutti assuefatti alle comodità che la globalizzazione e il progresso tecnologico hanno portato con sé, tanto da dimenticare le condizioni di un tempo non così lontano, in cui le normali azioni quotidiane non erano altrettanto facili e immediate. 
Guardando il cestello della lavatrice che gira veloce, rifletto sulla facilità di alcuni compiti e mestieri che fino a mezzo secolo fa si svolgevano in modo completamente differente. Da questo spunto nasce l’idea di scrivere un articolo sui lavatoi del passato, che non erano semplici costruzioni in pietra in cui si potevano lavare i panni sporchi, ma veri e propri luoghi di socializzazione che ci hanno lasciato testimonianze sull’architettura e sulle abitudini di un tempo.

Un piccolo lavatoio casalingo

I lavatoi sono vasche rialzate da terra, provviste di un piano inclinato concepito appositamente per il lavaggio della biancheria. Una pietra ruvida ed inclinata evitava lo slittamento dei panni nell’acqua e forniva un appoggio per insaponare e sfregare. Essi venivano logicamente costruiti in prossimità di una fonte dalla quale l’acqua veniva convogliata nella vasca centrale in pietra. Queste strutture permettevano alle lavandaie di lavare i panni piegandosi meno e le proteggevano dal sole o dalle intemperie. I lavatoi, grazie anche alla loro copertura rappresentano l’evoluzione del lavaggio direttamente nel ruscello o nel fiume, che trova la sua origine in un passato ben lungi da noi, in cui le donne si inginocchiavano e piegavano sulle loro sponde e con l’appoggio di un’asse di legno sfregavano con forza gli indumenti.

Essi rimasero in auge fino agli anni ’50/’60 del secolo scorso dopo i quali venne portata l’acqua corrente nelle abitazioni e nacquero i primi prototipi di lavatrice.

Lavatoio comunale a Crespi D’Adda

Una volta il bucato veniva fatto ogni 15/20 giorni, ad eccezione delle famiglie più povere che a causa di una penuria di indumenti dovevano farlo più frequentemente.  Nella maggioranza dei casi lavare i panni era un compito che si limitava alla propria famiglia, ma esistevano donne che lo svolgevano di professione: lavavano i panni dei ricchi possedenti terrieri o dei borghesi, magari perché rimaste sole o per racimolare qualche soldo in più. Per lavare veniva usato il sapone fatto in casa o una soluzione che si otteneva versando dell’acqua bollente sopra uno strato di cenere bianca ricavata da legni poveri come ginestre e rovi.

L’avvento dei lavatoi fu voluto dal Papa e risale almeno all’età comunale o post comunale, periodo del medioevo in cui governavano associazioni di individui appartenenti alla stessa classe sociale. In questa fase nacquero i grandi lavatoi Toscani e del centro Italia, visibili ad esempio a San Gimignano e Volterra. Tuttavia era possibile imbattersi in queste strutture nella maggior parte dei paesi di quel periodo storico. Rilevante è il caso di Fontebranda a Siena, una costruzione che appare frontalmente con tre arcate gotiche ogivali, al cui interno presentava un susseguirsi di tre vasche: la prima destinata all’acqua potabile, la seconda (oggi interrata) utilizzata per l’abbeveraggio degli animali e l’ultima fungeva da lavatoio. Tale fonte è nominata da Dante nel canto XXX dell’Inferno, la bolgia dei falsari di moneta e parola. I versi che citano Fontebranda sono affissi su una targa sulla facciata destra della costruzione. A Tuscania, Tarquinia e Vetralla troviamo lavatoi più recenti, che risalgono al 1500. Dal 1700 in avanti con l’avvento della filosofia illuminista e di una concezione più attuale di igiene i lavatoi comunali presero piede un po’ ovunque, richiesti espressamente da lettere e petizioni organizzate dai cittadini. Spesso venivano finanziati dalla famiglia borghese del posto come segno di munificenza verso la comunità. Tra il XIX e il XX secolo troviamo l’età d’oro dei lavatoi.

Iscrizione della citazione di Dante su Fontebranda

Dopo aver seguito il file rouge della nascita di queste strutture è ben più rilevante far riferimento alla loro funzionalità. Essi non erano solo dei luoghi di lavoro, ma fungevano da collante per la collettività. Qui le donne chiacchieravano raccontandosi gli ultimi avvenimenti paesani, cantavano o semplicemente stavano in compagnia. In alcuni luoghi questi ritrovamenti vennero rinominati “tribunali delle donne” o “gazzettini” per i discorsi liberi che vi si tenevano. Il linguaggio delle lavandaie non era talvolta particolarmente forbito, motivo per cui su alcuni lavatoi appaiono scritte come “Dio vede e sente tutto”, a testimonianza del lessico poco raffinato che spesso veniva usato. Su un lavatoio dell’Alsazia compare ancora oggi la scritta “lieu de calumnie”.

Sfortunatamente ci si è resi conto troppo tardi dell’importanza culturale e sociale dei lavatoi di cui la maggior parte giace ormai in condizioni scadenti. Come spesso accade l’uomo ha sottovalutato un altro segno che la storia gli ha lasciato chiudendo gli occhi davanti ad un’altra testimonianza sociale. Nonostante la rilevanza di queste strutture sia sempre stata sottovalutata, negli ultimi anni sono avvenute pratiche di restauro volte a ridare loro il prestigio che meritano. Sono d’esempio gli stanziamenti dati al comune di Bergamo nel 2019 per la sistemazione dei lavatoi comunali che con il loro fascino sono in grado di attrarre turisti e curiosi. Una simile operazione è avvenuta nel 2017 a Volterra, in cui il sindaco ha creato gruppi di volontari per la pulizia e la manutenzione dei suoi lavatoi storici.

Questo avvenimento ci dovrebbe far riflettere sulla peculiarità degli oggetti che ci circondano. Spesso passeggiando per le strade di un paese o di un borgo i nostri occhi si posano su edifici, monumenti, strutture o strade che in realtà possiedono un valore storico, artistico e culturale immenso. Spetta al nostro sguardo e alla nostra curiosità saper avvalorare ciò che ci circonda. Quando ci si renderà conto che la bellezza scaturisce in primo luogo dalla visione dell’osservatore e non dall’oggetto in sè, il mondo potrà riacquistare il valore che merita.

Ringrazio lo scrittore Gabriele Giuliani per aver coadiuvato l’idea dell’articolo.

@sofiaraffagnato

Condividi su Facebook:
Default image
Sofia Raffagnato