Rotolo come un sasso. Rifiutandomi di cadere dentro all’ennesimo sogno, di cui sono l’unica protagonista. Quelle come me sognano da sole. Mi faccio inabissare da uno sfogo violento e definitivo. Torno a quella mitezza capace di sovrastare il mondo. Mi rannicchio per inerzia. Stremata dalla fatica. Provo a sdebitarmi con la vita: le restituisco il mistero. Possiedo centinaia di sensi: è l’ora della scintilla. Il mio è un ventre di luce. Ho sguardi pensanti e parole mute. Sento la mia frequenza alterarsi, quasi fino ad esaurirsi. Scrivo la parola fine. Spengo i pensieri. Faccio atto di penitenza e mi impongo mille preghiere, da sussurrare a labbra strette. I contorni si attenuano e divento entità alleggerita e riverbero lontano. Mi aggroviglio. Mi increspo. Sembro soccombere.Infine risplendo.
Ho scritto “Groviglio” a febbraio: il mese più corto dell’anno che però mi era sembrato eterno. Dietro ai miei testi esiste sempre una dose di sconforto e smarrimento: una sorta di filo conduttore che tengo saldamente tra le mani per paura di perderlo, e di perdere me stessa.
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