Sylvia Plath

Sylvia Plath: “Limite”. Scritta poco prima di morire.

Limite

La donna ora è perfetta.

Il suo corpo

morto ha il sorriso della compiutezza,

l’illusione di una necessità greca

fluisce nei volumi della sua toga,

i suoi piedi

nudi sembrano dire:

Siamo arrivati fin qui, è finita.

I bambini morti si sono acciambellati

ciascuno, bianco serpente,

presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.

Lei li ha raccolti

di nuovo nel suo corpo come petali

di una rosa si chiudono quando il giardino

s’irrigidisce e sanguinano i profumi

dalle dolci gole profonde del fiore notturno.

La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,

non ha motivo di essere triste.

È abituata a queste cose.

I suoi neri crepitano e tirano.

Sylvia Plath

Una brillante carriera scolastica, il successo a New York, un animo tormentato da una continua battaglia tra le sue più eccelse aspirazioni ed una società dettatrice di ruoli, un amore logorato da tradimenti, un marito assente.

Il suo cuore ambiva attenzioni, la sua mente il suicidio.

Oggetto di adorazione per gli appassionati della letteratura americana, un caso letterario novecentesco, arricchito da innumerevoli scenari da parte di Ted Hughes.

Era una mattina londinese dell’11 febbraio 1963, Sylvia era a casa con i suoi figli Frieda e Nicholas, quando decise di blindare con lo scotch la cameretta dei suoi due bambini, preparare la colazione con latte, pane e burro, com’era solita fare ogni mattina; scrisse una poesia, accese il gas del forno e poggiò la testa dentro quest’ultimo fino all’ultimo respiro.

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